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Pazienti facili, pazienti difficili

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Pazienti facili, pazienti difficili

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commenti - 09/07/15

Il lavoro di terapeuta presenta variabilità, come ogni altra professione. A meno che un terapeuta non si specializzi nel trattamento di una classe ristretta di disturbi, gli potranno ogni tanto capitare casi che escono, per così dire, dalle righe. I cosiddetti pazienti difficili. Alcuni terapeuti sono evitanti riguardo a tale casistica. Preferiscono muoversi su terreni conosciuti. Sono meno propensi alla novità e più a loro agio con ciò che è già familiare. È un atteggiamento umano e comprensibile, non sarebbe appropriato criticarlo.

Tuttavia, i pazienti difficili, proprio per l'elemento di sfida e imprevedibilità che presentano sono - almeno per me - i più interessanti. Senza contare che spesso si assiste a uno strano fenomeno: più un paziente sembra difficile all'inizio, più è probabile che la terapia si concluda positivamente. Viceversa, più la strada sembra inizialmente liscia e senza ostacoli, più è probabile che se ne incontrino di subdoli lungo il percorso.

Una particolare categoria di pazienti che potremmo definire difficili sono quelli dotati di forti convinzioni. In genere a sfondo morale/religioso/politico, ma non solo. Queste persone, che psicologicamente sembrano rocce, sono attaccate alle loro convinzioni in modo granitico, inflessibile.

Sono in un certo senso l'opposto dell'ossessivo: quest'ultimo convive con il dubbio, la Roccia è sposata con la certezza.

Almeno nella mia esperienza è raro che persone così si deprimano. Non possono deprimersi, perché ciò non è previsto, non è concesso dal loro assetto mentale. Le depressioni (non endogene) consistono spesso nella caduta di un mito o di una convinzione a cui la persona teneva molto. Ma siccome le convinzioni essenziali che queste persone hanno sono resistentissime, è molto difficile che si rompano.

Quando però per qualche motivo ciò accade, le Rocce possono sprofondare più della media. Infatti, le persone che non sono caratterizzate da un'alta rigidità sperimentano ogni tanto momenti di incertezza. Magari sbagliano, fanno errori. Sono più abituate a dubbi e fallimenti. E questo le protegge, perché ciò che ci è familiare riusciamo a controllarlo meglio, con meno dispendio di energia. Una forma di immunizzazione emotiva.

La Roccia invece no. Non ammette vacillamenti né incertezze. Non è abituata a sentirsi mancare il terreno sotto i piedi. E quando si trova costretta a confrontarsi con la spiacevole novità, può addirittura aver bisogno di un periodo di quarantena affinché possa iniziare a crederci e smettere di rifiutarla.

La sofferenza della Roccia nasce dalla mancanza di adattabilità e flessibilità. Ciò che in alcuni ambienti è definita alloplasticità, ovvero la forte preferenza che sia il resto del mondo a conformarsi a lei, piuttosto che il contrario.

In altre parole, "sbagliato" è il resto del mondo. O perché immorale, o perché non riconosce la "verità" che ha proprio lì, sotto il suo naso. Basterebbe che il resto del mondo fosse come lei, e tutto andrebbe bene. Questa è la riflessione di fondo che fa soffrire la Roccia.

Alcuni potranno riconoscere gli elementi di base di integralismo e totalitarismo, quelli che su scala sociale determinano tragedie umane passate e presenti, che tutti tristemente conosciamo. E infatti è proprio così. Questi gruppi sono formati da persone che di base hanno già una certa inclinazione al pensiero unico, per motivi vuoi individuali vuoi culturali, e tale inclinazione è amplificata dal pensiero di gruppo e dalla propaganda martellante.

Alcuni anni fa mi occupai di una coppia di coniugi che si rivolse a me per un supposto problema di abusi familiari, il quale si rivelò presto pretestuoso. Questo avviene abbastanza spesso, in terapia. La persona ti porta un problema magari vero e reale, ma che non è quello sostanziale. Una sorta di maschera, un modo per depistare l'attenzione del terapeuta e cercare di convincerlo a prendere le sue parti. Un meccanismo analogo a quello per cui in pubblico cerchiamo di gestire la nostra immagine in modo ottimale. Ci vestiamo bene e sorridiamo per tentare di migliorare il concetto che gli altri si faranno di noi.

La coppia in questione rivelò varie sedute dopo di far parte di una setta religiosa a cui dedicava gran parte del proprio tempo e delle proprie energie, anche economiche. Il problema presentato come pretesto nascondeva, in realtà, l'incomprensione profonda che si era venuta a creare fra loro e i figli, che non riuscivano ad accettare le pretese dei genitori. In sostanza la coppia avrebbe voluto essere aiutata a trovare il modo di "convertire" anche loro. Se non in senso pieno, almeno dal punto di vista della comprensione. Cosa evidentemente molto difficile, dato che i figli si sentivano svuotati e privati di gran parte dell'affetto genitoriale, che ormai fluiva in gran parte verso l'amata congregazione. Un conflitto di interessi, insomma. Fu uno degli stessi figli, in lacrime, a specificarlo più avanti in modo inequivocabile: "Devono fare una scelta di campo: o scelgono di stare con loro (la congrega) o scelgono di stare con noi. Ma restare di là e pretendere di essere capiti e accettati di qua, questa è una cosa che non potrà succedere".

In questo caso la Roccia era rappresentata dalla madre. Una donna volitiva, forte e autoritaria, determinata a sua volta nel configurare la situazione a modo proprio: "Se cambiamento ci dovrà essere, dovranno essere i miei figli a cambiare. Perché io so che non cederò. Mi conosco, so come sono fatta". Con simili premesse sembrava apparentemente precluso qualsiasi spazio di manovra.

Eppure, nell'arco di un ristretto numero di sedute distribuite su circa un anno, la famiglia fu capace di fare degli aggiustamenti importanti.

Messi di fronte al fatto che se nessuno avesse fatto un primo passo nulla sarebbe cambiato, e che se davvero era quello ciò che volevano sarebbe stato sufficiente insistere e perseverare con ancora maggior convinzione, entrambi furono capaci di ammorbidire le posizioni. Dopo le pregresse difficoltà con la scuola, il figlio più piccolo iniziò un'attività lavorativa di suo gradimento. I rapporti con gli altri figli divennero meno tesi e i genitori impararono a non far pesare sulla famiglia le loro scelte spirituali, a vantaggio della serenità di tutti.

Tanto che a distanza di sei mesi dalla fine della terapia fu la madre stessa a definire la situazione come "globalmente migliorata".

Ancor prima dei pazienti, una delle lezioni che lo stesso terapeuta deve imparare è che non sempre i casi possono essere risolti in modo ideale. Su una scala da 0 a 10, a volte si può arrivare a un 8, altre volte un 6-7 è già un ottimo risultato.

Alcune volte il risultato massimo può persino essere sconsigliabile. Ottenerlo, infatti, significherebbe sconvolgere gli equilibri del sistema individuo o famiglia in modo tale per cui si verrebbero a creare più problemi di quanti se ne sarebbero risolti._


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